Acque cristalline che bagnano una successione di calette di sabbia finissima circondate da una rigogliosissima e incontaminata macchia mediterranea dove, tra tamerici e fitti canneti, il frinire delle cicale domina incontrastato. È il meraviglioso contesto paesaggistico di Torre Guaceto, una vasta riserva naturale protetta che si estende nei territori di Carovigno e Brindisi.
Qui, lontani dalle affollate spiagge della costa pugliese, è ancora possibile godere della pace immutata di un luogo dove l’incontrastata bellezza di flora e fauna è visibile agli occhi di tutti ma la cui storia, invece, è ancora in buona parte da scoprire e raccontare. Da anni ormai l’area è soggetta a diverse campagne di scavi archeologici che hanno portato alla luce antiche tracce del millenario e sorprendente passato di Torre Guaceto.
Tutto ha inizio nel 2007 quando un gruppo di ricerca interdisciplinare (diretto dal Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali dell’Università di Bari) ha avviato un progetto di archeologia del paesaggio costiero della Riserva con uno specifico focus sull’età del Bronzo. In quegli anni i materiali ceramici e i manufatti rinvenuti sugli Scogli di Apani (due piccoli isolotti posti a cinquecento metri dalla riva) hanno permesso di datare una presenza stabile dell’uomo in questo tratto di costa già all’inizio del II millennio a.C (inizio della media età del Bronzo). Presenza che, tra guerre, incendi, abbandoni e rinascite resterà quasi costante sino ai nostri giorni.
E fu proprio in quest’area che, nell’inverno del 2018, le forti onde del mar Adriatico divennero le “scopritrici” di ciò che la sabbia aveva tenuto nascosto per tremila anni. Una forte mareggiata di maestrale portò infatti alla luce una lunga fila di buche di palo e frammenti di antico vasellame. Nel successivo triennio di indagini furono così trovati decine di pozzetti scavati nella calcarenite contenenti vasi con frammenti di ossa bruciate: i resti di una necropoli a cremazione. L’inaspettata scoperta diede così l’avvio a una campagna sistematica di scavi e studio dei reperti che sta permettendo di aggiungere interessanti ed inedite pagine al millenario passato del luogo e dei suoi lontani abitanti.
Per comprendere meglio la lunga storia di Torre Guaceto e vedere dal vivo i recenti ritrovamenti abbiamo contattato il professor Teodoro Scarano, ricercatore di preistoria e protostoria del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento. È stato lui che nel 2007 ha avviato il progetto archeologico nel territorio della riserva e dal 2021 è direttore degli scavi nell’area in regime di concessione ministeriale. Un importante intervento realizzato in collaborazione con il Dipartimento di Storia, Culture e Civiltà dell’Università di Bologna, con il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Bari, con l’Istituto Archeologico Austriaco dell’Accademia delle Scienze di Vienna e in accordo con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Brindisi e Lecce e con il supporto del Consorzio di Gestione di Torre Guaceto.
Lo abbiamo raggiunto, in una rovente giornata di scirocco di metà giugno, nell’area della riserva dove sono in corso gli scavi. Qui Scarano, insieme al suo giovane team di archeologi, è intento a recuperare e repertare gli ultimi ritrovamenti fatti a pochi metri dal mare cristallino che bagna la riserva.
“Ci troviamo in quella che un tempo era una grande necropoli a cremazione, realizzata su un precedente spazio votivo-cultuale, databile tra la fine del XIV e l’inizio del XIII secolo avanti Cristo ed utilizzata fino all’XI secolo, ovvero in una fase già avanzata dell’età del Bronzo – ci spiega il professor Scarano mentre ci fa avvicinare alle due aree di scavo -. Un periodo in cui è avvenuto il passaggio dalla più antica inumazione del defunto con annesso corredo alla cremazione in urne cinerarie ognuna delle quali alloggiata all’interno del proprio pozzetto e spesso raggruppate in nuclei ben individuabili”
Fino a pochi anni fa in Puglia erano note soltanto altre due necropoli a cremazione: Torre Castelluccio a Pulsano (Taranto) e in contrada Pozzillo a Canosa di Puglia (Bari), scoperte tra gli anni 50 e 60 del secolo scorso. La necropoli di Torre Guaceto, oltre ad aggiungere un importante tassello a questo quadro storico, si identifica anche come la più antica al di sotto della zona del Po.
Le due distinte zone di scavo sono state realizzate sbancando una fitta area di tamerici che occupano buona parte della linea di costa.
Molti dei vasi infatti sono aggrovigliati tra le radici degli arbusti che rendono decisamente più ardua e delicata la loro rimozione. «Le tombe si trovano a pochi centimetri sotto la sabbia per cui il contatto con l’ambiente marino e soprattutto gli acidi umici delle radici delle tamerici vanno a impattare sulle urne e sulle ossa al loro interno arrivando, in alcuni casi, a distruggerle» – ci spiega il professor Scarano mentre ci mostra alcune delle urne rinvenute ancora racchiuse nei pozzetti.
Alcune delle urne risultano frammentate o anche sovrapposte tra di loro, altre invece presentano sia l’urna, sia la ciotola di copertura ancora integralmente conservate all’interno del pozzetto e che, in alcuni casi, sono riccamente adornate con motivi decorativi ad impressione e solcature. «Questo sono sepolture da attribuire ad individui di rango elevato – ci illustra Scarano -. Il rinvenimento di un rasoio bitagliente in bronzo tipo Pertosa suggerirebbe per la prima volta la presenza di un individuo di sesso maschile tra le tombe con corredi di pregio».
Attorno alle urne cenerarie vengono rinvenuti anche i cosiddetti vasi accessori contenenti, in base ai risultati delle analisi chimiche effettuate, bevande fermentate a base di cereali: la birra dell’età del Bronzo. Un particolare che testimonia lo svolgimento di vere e proprie cerimonie funerarie durante le sepolture.
Ma che fine fa tutto questo materiale recuperato? Il Consorzio di Torre Guaceto si è dotato, già a partire dal 2008, di un proprio laboratorio di archeologia nella vicina frazione di Serranova. È qui che il team di giovani archeologi termina il proprio lavoro giornaliero portando con sé i vari ritrovamenti che vengono puliti, catalogati e studiati.
Nel laboratorio vengono analizzati i resti cremati attraverso degli accurati microscavi effettuati all’interno delle urne. I resti, seppur frammentati e combusti, forniscono un’importante mole di informazioni sul rito funerario, sulla demografia e struttura sociale delle comunità.
«Il nostro obiettivo è però avere un contenitore museale più grande, da allestire magari in uno degli immobili già presenti all’interno del territorio della Riserva, che ci consenta di raccontare in loco la millenaria storia del luogo» ci spiega il professor Scarano mentre ci mostra alcuni dei vasi ripuliti e ricostruiti in tutta la loro bellezza.
«Avere noi archeologi a Torre Guaceto è una risorsa continua perché la storia della riserva si va ad aggiungere al racconto della vegetazione e della fauna selvatica – continua Scarano -. Un’interrelazione multidisciplinare di saperi che colpisce molto sia i turisti sia i locali».
È un’opportunità unica di immergersi nella storia sepolta sotto la sabbia, di apprezzare la vita che prospera tra tamerici e canneti, e di contemplare la maestosità del mare Adriatico. Torre Guaceto incarna la perfetta armonia tra patrimonio storico e bellezze naturali, un luogo che ci ricorda quanto sia importante preservare e celebrare il nostro passato, mentre ci godiamo il presente.
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